L'ORIGINE é NUDA
a cura di Alberto Zanchetta - Galleria Flaviostocco (TV)
La ricerca di Silvia Vendramel nasce dalla rielaborazione di oggetti domestici che vengono trasformati attraverso l'utilizzo del vetro soffiato. La serie intitolata Soffi è composta da strutture in metallo dentro alle quali il vetro viene fatto espandere fino al limite del collasso. Gli elementi utilizzati hanno spesso carattere decorativo in quanto l'artista parte dal presupposto che l’oggetto ornamentale porta in sé la necessità di riempire un vuoto ed è proprio questo aspetto psicologico a interessarla.
Generato dal fragile dialogo tra vetro e metallo, ogni Soffio mette in relazione gesto e memoria, corpo e casa. L'elaborazione di ognuna delle opere prevede due fasi: una somiglia a gesti compiuti da bambina (dove l’oggetto viene tagliato, storto, capovolto...), l’altra intende restituire forma al vuoto attraverso la soffiatura. L’azione calda e diretta di colmare e reinventare l’assenza è la ragione di essere di questa serie. La trasformazione dallo stato liquido a quello solido, l’azione incandescente, tanto veloce quanto irrevocabile, il non poter prevedere la forma che la soffiatura genererà e il fatto che le sculture non abbiano un verso "dritto", sono tutti aspetti che caratterizzano queste opere.
Il titolo della mostra riprende quello dello scultura esposta in vetrina, lavoro dove Vendramel abbandona l'uso del metallo lasciando maggior respiro alla trasparenza del vetro e creando un dialogo tra due elementi che sembrano essere generati l'uno dall'altro.
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Silvia Vendramel’s research begins withdomestic objects that are transformed through the use of blown glass. The series entitled Soffi/Blows is composed of familiar objects into which glass is blown to the point of nearly collapsing. The objects used are often decorative in nature because the artist starts from the assumption that any ornamental object reflects the need to fill a void and it is precisely this psychological aspect that interests her.
Generated by the fragile dialogue between glass and metal, every Soffio/Blow puts gesture and memory, body and home into a relationship. The development of every work consists of two phases: the first recalls the gestures of a little girl (in which the object is cut open, twisted, turned upside down...), the second intends to restore a shape to the emptiness through blowing. The hot and direct action that fills and re-invents absence is the raison d’etre of the series. Transformation from liquid to solid state, the moment of incandescence, as rapid as it is irrevocable, the unpredictability of the shape that blowing will give, and the fact that the sculptures can be placed in any position because they don't have neither head nor tail, are all distinctive features of these works.
The origin is naked is the title of one of her assemblages which gave name to her last solo show, in this peace Vendramel abandons the use of metal and allows greater space to the transparency of glass and creates a dialogue between two elements, each seeming to have been created by the other.
ETERNE FRAGILITÀ
Alberto Zanchetta
Mir spaset krasota: la bellezza salverà il mondo ha scritto Dostoevskij, ma questa bellezza non ci sgraverà dalle ansie, i disagi o le frustrazioni della nostra esistenza. Le opere che Silvia Vendramel realizza sono per lo più di medio-piccolo formato, mai troppo grandi, in modo tale da non [dis]perdere quella loro dimensione intima e domestica, evidente oltre ogni ragionevole dubbio. Ammette l’artista: «Gli oggetti che utilizzo hanno spesso carattere decorativo perché parto dal presupposto che l’oggetto ornamentale porta in sé la necessità di riempire un vuoto ed è proprio questo aspetto psicologico a interessarmi e a spingermi a indagare in tal senso». Ciò che in queste opere appare “lieve”, in realtà ha un risvolto “greve”: la forma inganna l’occhio, il concetto in-forma la mente e la materia.
Nell’opera Giorni l’artista ha inteso rimescolare il corso del tempo, ha cioè cercato di ritrovare il presente inseguendo il passato. Volenti o nolenti, siamo testimoni di una proustiana recherche che porta con sé disforie personali e private; la superficie dei banchi di scuola (frammenti di formica rimontati in senso orario) scandisce quei “giorni” citati nel titolo dell’opera. Reminiscenze che vengono codificate in base all’intelaiatura di un oggetto preesistente. Ciò accade anche nei Soffi, dove alcune strutture metalliche hanno perso la loro funzione originale (quindi anche la loro identità oggettuale), riducendosi a “scheletri” senz’anima. In questo stato di indeterminatezza interviene il pneuma dell’artista, insufflando al loro interno l’incandescente materia vitrea che si espande in modo imprevedibile. Nel suo farsi, la scultura subisce uno sviluppo autonomo, dettato dalla costrizione/contrizione della struttura in metallo. Benché i Soffi sembrano volersi librare nell’etere, essi rimangono ancorati alla zavorra dei ricordi, e delle tante masserizie che affollano la nostra vita.
Forse Vendramel anela liberare la scultura dalla propria dimensione fisica e gravitazionale, così come aveva fatto Piero Manzoni con i Corpi d’aria, “sculture pneumatiche” che gli acquirenti potevano portarsi a casa per poi gonfiarle a piacimento; Manzoni si rendeva però disponibile a gonfiare personalmente gli sferoidi, riempiendoli con il proprio “fiato d’artista”. Diversamente, nei Soffi di Vendramel avvertiamo che l’azione del respirare/espirare coincide con l’idea dell’espiazione (di rapporti pregressi) e l’esproprio (di memorie). Ogni oggetto reca in sé una tensione psicologica che affonda le radici in una dimensione disequilibrante, instabile e precaria.
De facto, queste sculture possono essere considerate come dei “contenitori del vuoto”, definizione che perviene in modo clinico all’opera L’origine è nuda: una natura morta vetrificata, incolore, composta da due corpi-volumi translucidi, inerti e indifesi, “nudi” in quanto non nascondono nulla. C’è in quest’opera un rapporto duale, e quasi antitetico, come se i due elementi fossero tra loro legati ed estranei al contempo. La piccola sfera, che pare originarsi dal grande grembo vitreo che l’affianca, impone una scissione-ferita che non può rimarginarsi. Anche in questo caso si evince un tentativo di ripristinare uno spazio incolmabile, un vuoto insanabile. Il vetro si comporta come una bolla di sapone, e non per caso, come a voler ricordare il monito escatologico dell’Homo bulla est, ma anziché volteggiare nello spazio, le sculture sono trattenute dall’insostenibile “pesantezza” del nostro Essere al Mondo.
Alla resa dei conti, la ricerca visiva di Silvia Vendramel potrebbe essere spiegata con le parole di Guido Ceronetti, il quale ci invita a «imparare la bellezza del verbo subire e tenerselo come stella polare. Non servono ribellioni perché tutto è incessante subire e patire violenza. Comprendere l’inevitabilità del subire non è rassegnazione: è attivo conoscere».
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ETERNAL FRAGILITY
Alberto Zanchetta
Mir spaset krasota: Beauty will save the world, Dostoevsky once wrote, but this beauty will do little against all the anxieties, offenses and frustrations of our daily existence. The works created by Silvia Vendramel are small to medium in size - never too big - in order not to disperse the clearly evident dimension of their intimacy and domesticity. The artist herself admits: «The objects I use often have a decorative nature of their own because I start from the assumption that any ornamental object reflects the need to fill a void, and it’s precisely this psychological aspect that interests me and drives me to further investigation in this regard». What appears “light” in these works has, in reality, a “heavier” implication: the form deceives the eye; the concept in-forms both the mind and the material.
In Giorni/Days, the artist intends to shuffle the flow of time, attempts to rediscover the present by chasing the past. Intentionally or otherwise, we witness a Proustian recherche that bears personal and private dissatisfactions in it; school desk surfaces (bits of Formica re-assembled “clockwise”) mark the days of the title. Our memories are coded on the basis of a pre-existing object. The same thing also happens in Soffi, in which certain metal structures lose their original function (and also their identity as object) and are reduced to serving as skeletons without soul. It is in this state of indeterminacy in which the artist’s “spirit” is infused as she blows into the incandescent gob of vitreous material which expands in unexpected ways. In its coming into existence, the sculpture undergoes autonomous development that is dictated by the constriction/contrition of the metal structure. Even if Soffi seems to want to hover into the air, it remains held down by the weight of memories and household articles that crowd our lives.
Perhaps Vendramel longs to free sculpture from its physical and gravitational dimension, recalling Piero Manzoni with his Corpi d’aria, “pneumatic sculptures” that purchasers could take home and inflate themselves as desired; Manzoni was equally willing to inflate his spheroids himself with the “the artist’s own breath”. Differently, in Vendramel’s Soffi, we realize that the acts of inhaling/exhaling match the idea of atonement (for previous relationships) and expropriation (of memories). Every object bears within itself a psychological tension with roots in an unsettling, instable, and precarious dimension.
De facto, these sculptures may be considered “containers of nothing”, a definition that pervades almost clinically the work L’origine è nuda: a still life turned to colorless glass, composed of two inert and defenseless translucent bodies-volumes that are “nude” in the sense that they conceal nothing. This work holds a dual, almost antithetic relationship, as if the two elements were linked together and extraneous to each other at the same time. The smaller sphere, which seems to originate from the larger vitreous “womb” at its side imposes a scission-wounding that cannot heal. In this case as well, we perceive an attempt to span an unbridgeable gap, to fill an irremediable void. Glass behaves like a bubble of soap and not merely by chance alone, as if citing the eschatological warning Homo bulla est, but instead of twirling in space, the sculptures are withheld by the unsustainable “heaviness” of our Being in this World.
In the end, Silvia Vendramel’s visual research might well be explained in the words of Guido Ceronetti, who invites us to «learn the beauty of the verb submit and hold it dear as your polar star. No rebellions are necessary because everything is only an incessant submitting and suffering of violence. Understanding the inevitability of submittal is not resignation but something else entirely: active knowing».